GLI IDOLI 

II PARTE

Continuiamo la trattazione sugli idoli avendo sempre come riferimento il catechismo della chiesa cattolica, i cui numeri per approfondire il discorso vanno dal 2095 al 20109.

Nell'ultima uscita abbiamo parlato delle virtù teologali della fede, della speranza e della carità che informano e vivificano le virtù morali. Così, la carità ci porta a rendere a Dio ciò che in tutta giustizia gli dobbiamo in quanto creature. La virtù della religione ci dispone a tale atteggiamento di cui l'adorazione è l'atto principale. Adorare Dio è riconoscerlo come Creatore e Salvatore, Signore e Padrone di tutto ciò che esiste, come amore infinito e misericordioso.

Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai (Lc 4,8), dice Gesù, citando il Deuteronomio (Dt 6,13). L'adorazione del Dio unico libera l'uomo dal ripiegamento su se stesso, dalla schiavitù del peccato e dall'idolatria del mondo.

Ancora gli atti di fede, di speranza e di carità prescritti dal primo comandamento si compiono nella preghiera, che è l'elevazione dello spirito verso Dio, quindi un'espressione della nostra adorazione a Dio: preghiera di lode e di rendimento di grazie, d'intercessione e di domanda sono una condizione indispensabile per poter obbedire ai comandamenti di Dio. Bisogna «pregare sempre, senza stancarsi» (Lc 18,1).

È giusto offrire sacrifici a Dio in segno di adorazione e di riconoscenza, di implorazione e di comunione. Per essere autentici, i sacrifici esteriori devono essere espressione di quelli spirituali: «Uno spirito contrito è sacrificio[...]».(Sal 51,19).

I profeti dell'Antica Alleanza spesso hanno denunciato i sacrifici compiuti senza partecipazione interiore o disgiunti dall'amore del prossimo. Gesù richiama le parole del profeta Osea:

«Misericordia io voglio, non sacrificio»(Mt 9,13; 12,7). L'unico sacrificio perfetto è quello che Cristo ha offerto sulla croce in totale oblazione all'amore del Padre e per la nostra salvezza. Unendoci al suo sacrificio, possiamo fare della nostra vita un dono a Dio.

In parecchie circostanze il cristiano è chiamato a fare delle promesse a Dio: il Battesimo, la Confermazione, il Matrimonio e l'Ordinazione ne comportano sempre qualcuna;per devozione personale il cristiano può anche promettere a Dio un'azione, una preghiera, un'elemosina, un pellegrinaggio. La fedeltà alle promesse fatte è un'espressione del rispetto dovuto alla divina maestà e dell'amore verso il Dio fedele.

Il voto, ossia la promessa deliberata e libera di un bene possibile e migliore fatta a Dio, deve essere adempiuto per la virtù della religione. Esso è un atto di devozione, con cui il cristiano offre se stesso a Dio o gli promette un'opera buona. Mantenendo i suoi voti, egli rende pertanto al Signore ciò che a lui è stato promesso e consacrato. Gli Atti degli Apostoli ci presentano San Paolo preoccupato di mantenere i voti da lui fatti. La Chiesa riconosce un valore esemplare ai voti per la messa in pratica dei consigli evangelici (povertà, castità e obbedienza), che in certi casi possono essere sciolti.

Il dovere di rendere a Dio un culto autentico riguarda l'uomo individualmente e socialmente, soprattutto nell'evangelizzazione del popolo. La Chiesa si adopera affinchè si diffonda lo spirito cristiano nella mentalità e nei costumi, nelle leggi e nelle strutture della comunità. Il dovere sociale dei cristiani è di rispettare e risvegliare in ogni uomo l'amore del vero e del bene. Ad ognuno viene richiesto di far conoscere il culto dell'unica vera religione che sussiste nella Chiesa cattolica ed apostolica. I cristiani sono chiamati ad essere la luce del mondo; la Chiesa in tal modo manifesta la regalità di Cristo su tutta la creazione e in particolare sulle società umane.

In materia religiosa nessuno può essere forzato o impedito ad agire contro la sua coscienza, entro debiti limiti, sia privatamente che pubblicamente, in forma individuale o associata. Tale diritto si fonda sulla natura della persona umana, la cui dignità aderisce liberamente alla verità divina che trascende l'ordine temporale. Lo stesso vale anche per coloro che non soddisfano l'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa.

Il diritto alla libertà religiosa non è né la licenza morale di aderire all'errore, né un implicito diritto all'errore, bensì un diritto naturale della persona umana alla libertà civile, cioè all'immunità da coercizione esteriore, entro giusti limiti, da parte del potere politico. Questo diritto naturale deve essere riconosciuto nell'ordinamento giuridico della società così che divenga diritto civile.(Concilio Vaticano II dignitatis humanae)

Il diritto alla libertà religiosa non può essere di per sé né illimitato, né limitato semplicemente da un ordine pubblico concepito secondo un criterio «positivistico» o «naturalistico». I «giusti limiti» che sono inerenti a tale diritto devono essere determinati per ogni situazione sociale con la prudenza politica, secondo le esigenze del bene comune, e ratificati dall'autorità civile secondo «norme giuridiche conformi all'ordine morale oggettivo».

Nella parte III tratteremo i peccati che vanno contro il primo comandamento e precisamente i peccati di idolatria. 

A CURA DI

"Fai quello che puoi e chiedi quello che non puoi. Ed Egli farà in modo che tu possa"   

Don Carmelo Rizzo

Responsabile Protempore

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