SAN GIUSEPPE MOSCATI

Giuseppe Moscati fu uno dei medici più conosciuti della Napoli di inizio Novecento.Per la sua capacità di coniugare scienza e fede, è riconosciuto come Santo dalla Chiesa Cattolica a partire dal 1987. Ancore oggi riceve visite da persone di ogni parte del mondo, non solo per le infermità fisiche ma anche per i mali che colpiscono l'animo degli uomini del nostro tempo. Contrariamente a quanto si possa credere, non nacque a Napoli, ma a Benevento, il 25 luglio 1890. Studiò presso il liceo <<Vittorio Emanuele>> e, dopo il conseguimento del diploma di maturità classica nel 1897, iniziò gli studi universitari presso la facoltà di Medicina. Il motivo di quella scelta, di rottura rispetto alla tradizione familiare (oltre al padre, anche suo nonno paterno e due fratelli avevano studiato Giurisprudenza), è forse dovuto al fatto che, dalla finestra della nuova abitazione poteva osservare l'Ospedale degli Incurabili, che suo padre gli indicava suggerendogli sentimenti di pietà per i pazienti ricoverati. Il primo ammalato con cui ebbe a ce fare fu suo fratello, Alberto, il quale, caduto da vallo, subì un trauma cranico che gli produsse una forma di epilessia. Quest'evento persuase il giovane da una parte della brevità della vita umana, dall'altra di doversi dedicare interamente alla professione medica. Giuseppe, concentrandosi sulla preparazione degli esami, concluse gli studi il 4 agosto 1903, laureandosi con il massimo dei voti. Nemmeno tre anni dopo, iniziò ad emergere la sua capacità di agire tempestivamente: dopo aver assistito alle prime fasi dell'eruzione del Vesuvio dell'8 aprile 1906, si precipitò a Torre del Greco, dove gli Ospedali Riuniti di Napoli avevano una sede distaccata, e trasmise l'ordine di sgombero, caricando personalmente i pazienti, molti dei quali paralitici, sugli automezzi che li avrebbero condotto in salvo. Appena l'ultimo paziente fu sistemato, il tetto dell'ospedale crollò. Nell'epidemia di colere de 911 fu invece incaricato di effettuare ricerche sull'origine dell'epidemia: i suoi consigli su come contenerla contribuirono a limitarne i danni. Tra gli elogi che arrivavano da parte del mondo accademico, gli giunse anche la vittoria in un importante concorso, che lo inserì a pieno titolo nell'attività dell'Ospedale degli Incurabili. Un insegnamento di rilievo gli veniva dalle autopsie, nelle quali era tanto abile che, nel 1925, accettò di dirigere l'istituto di anatomia patologica. I suoi parenti e colleghi testimoniarono che dalla sua persona promanava un fascino distinto, che lo rendeva di buona compagnia. Era anche molto attento alla natura, all'arte e alla storia antica, come si evince dal racconto di un viaggio in Sicilia. Non si concedeva altri svaghi come andare al teatro o al cinema e non aveva neppure un'automobile sua, preferendo sposarsi a piedi o con i mezzi pubblici, anche sulla lunga distanza. Erano tutti modi con cui si esercitava a conservarsi sobrio e povero, come gli ammalati che prediligeva visitare. Numerosi sono i racconti di pazienti che i videro recapitare indietro la somma con cui l'avevano pagato, anche se ne aveva diritto essendo venuto da lontano. I poveri, per lui, erano <<le figure di Gesù Cristo, anime immortali, divine, per le quali urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi>>. Viene quasi alla mente l'espressione che Papa Francesco ha più volte pronunciato, definendoli "carne di Cristo", quindi scendendo nel concetto della corporeità e del dolore. Il dottor Moscati insegnava a trattare questa manifestazione <<non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un'anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l'ardenza dell'amore, la carità>>. E proprio la carità era, secondo lui, la vera forza capace di cambiare il mondo, come scrisse nel 1922 al dottor Antonio Guerricchio, un tempo suo assistente: <<Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, in alcuni periodi; e solo pochissimi uomini son passati alla stoia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell'eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene>>. Nel dottor Moscati la scienza era compenetrata da un'acuta capacità diagnostica, tanto più sorprendente se si pensa che, alla sua epoca, erano sicuramente noti i raggi X, ma non le tecniche con le quali oggi si indaga all'interno dei corpi, come la TAC o altre. I sintomi che gli altri riconducevano a malattie di un certo tipo erano per lui riferiti a cause di natura diversa, per le quali disponeva terapie il più delle volte benefiche. Tutte queste doti traevano la propria sorgente dall'Eucaristia, che riceveva quotidianamente, in particolare nella chiesa di Gesù Nuovo. Grande era anche la sua devozione alla Vergine Maria, sul cui esempio decise, nel pieno della maturità, di rimanere celibe, ma senza farsi religioso né diventare sacerdote. Qualcuno ha sospettato che fosse, per usare un eufemismo, incapace alla riproduzione o che avesse qualche tratto di misoginia. In realtà non si riteneva incline al matrimonio, che invece esortava ad abbracciare ai suoi giovani allievi: inoltre, se avesse preso moglie, non sarebbe più stato libero di visitare i suoi poveri. La morte lo colse per infarto al culmine di una giornata come tante, il 12 aprile 1927. La poltrona dove si sedette, poco dopo aver applicato a se stesso la capacità diagnostica che aveva salvato tanti, è conservata ancora oggi, come tanti altri suoi oggetti, nella chiesa del Gesù Nuovo.

A cura di

"La grandezza dell'uomo si misura in base a quel che cerca e all'insistenza con cui egli resta alla ricerca "

Giuseppe Bruna

Caporedattore

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