I BUONI PROPOSITI
Nel mio dialogo con Dio mi è capitato più volte di fare buoni propositi: "Mi impegno a fare questo, aiutami a fare quest'altro; non farò più questa cosa". Nel tempo le esigenze della vita mi stanno portando a pensare di voler cambiare la condizione che volevo sostenere. Mi chiedevo se un proposito è considerato come un voto, una promessa, visto che è rivolta direttamente al Signore.
Quando nella vita del fedele si mette in moto il meccanismo della conversione ci chiediamo appunto che cosa cambiare nella nostra vita per poter piacere al Signore. Proprio in questa fase che si formulano propositi, promesse e voti. Sostanzialmente la promessa e i propositi coincidono mentre diverso è il voto.
Il Diritto Canonico nel canone 1191, definisce il voto come "promessa libera e consapevole circa un bene migliore e possibile, fatta a Dio" e, riprendendo questa definizione, il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2102) specifica: "il voto è un atto di devozione, con cui il cristiano offre se stesso a Dio o gli promette un'opera buona. Mantenendo i suoi voti, egli rende pertanto a Dio ciò che a lui è stato promesso e consacrato".
Per specificare natura e obblighi del voto, il Diritto Canonico nel canone 1192 precisa che "il voto è pubblico, se viene accettato dal legittimo Superiore in nome della Chiesa". Ad esempio nel caso dei religiosi, quando emettono i voti di povertà, castità ed obbedienza "diversamente è privato". Il voto cessa nel caso sia trascorso il tempo eventualmente fissato per il suo compimento o in caso di dispensa che, si precisa nel canone 1196, può essere data anche dal "parroco, relativamente a tutti i propri sudditi e pure ai forestieri."
Quindi chi fa un voto si lega a Dio e si impegna ad attuare quello che ha promesso. Non sono pochi i cristiani che hanno fatto o fanno un voto, come, per esempio quello di recarsi ad un santuario a piedi, in segno di penitenza, o costruire una cappella in onore della Madonna per ottemperare a una grazia ricevuta.
La pratica di "fare un voto", per avvalorare con un proprio sacrificio o una rinuncia la preghiera di richiesta che leviamo al Signore - o direttamente, o per intercessione della Vergine Maria, o di qualche santo o beato - non va mai letta nella logica del do ut des (ti do qualcosa perché tu mi dia qualcos'altro in cambio) o del facio ut facias (faccio qualcosa per te perché tu faccia qualcosa per me). Questi, infatti, sono ragionamenti umani, che poco hanno a che vedere con la grandezza di Dio, grandezza che si manifesta particolarmente nella sua bontà e nella sua misericordia».
La promessa, «o anche il proposito è un impegno che ci prendiamo col Signore a comportarci in un determinato modo e, talvolta, contiene in sé il timore che, forse, si verrà meno a quanto si è deliberato». E «certamente, il venir meno costituisce un peccato: infatti, non ci si può prendere gioco di Dio».
Invece si fa il voto «non solo per rendere più forte l'impegno, ma anche per trasformare l'azione o la vita in un atto di lode per il Signore». Dunque l'essenza del voto consiste in questo: nel trasformare l'azione, o anche la vita stessa di una persona, dedicandola esclusivamente alla maggior gloria di Dio, al suo culto.
Indubbiamente, ha un valore più grande della promessa e quindi non si può fare se non vi è la certezza morale di poterlo osservare. È dunque logico fare un voto quando si sa che si potrà esservi fedele.
NELLA BIBBIA
L'Antico Testamento conosce il voto, generalmente nella forma di un'offerta condizionale fatta a Dio. Possono essere offerte cose, animali, o anche persone e queste ultime possono tuttavia essere riscattate. Si può offrire un culto, l'astinenza da qualcosa e/o sacrifici personali.
Sono significativi i voti di Giacobbe (Gen 28,20-22), quello di Iefte (Gd 11,30-31.39), quello di Anna, la madre di Samuele (1Sam 1,11: esempio del Nazireato), e il voto imprecatorio di Saul (1Sam 14,24). In Dt 23,22-24, si afferma che non c'è colpa nel non fare una promessa a Dio, ma si commette peccato se si tarda a soddisfarlo.
Il Nuovo Testamento non presenta alcuna raccomandazione di fare voti. Viene però menzionato il fatto che san Paolo aveva un voto per il quale si era fatto tagliare i capelli (At 18,18). Si accenna anche a "quattro uomini che hanno fatto un voto" e che lo sciolgono nel Tempio di Gerusalemme (At21,23). In entrambi i casi la natura di tali voti è quella del Nazireato.
San Tommaso d'Aquino dice che condizione per cui il voto sia valido è che venga emesso da una persona idonea, cioè che disponga di tutte le facoltà per cui esso possa essere emesso. Fra queste vi è l'uso di ragione, la libertà nel farlo, e il proposito di onorare Dio non attraverso semplice desiderio, ma con un fermo disegno che non comporti rimpianti successivi, compatibilmente con l'umana fragilità. Più precisamente il voto, anche quando riguarda materia di poca importanza, presuppone il pieno assenso della volontà, è infatti un atto di generosità verso Dio, e nessuno potrebbe dare qualcosa se non sapesse pienamente cosa sta facendo con tale atto. Ogni errore sostanziale, o comunque ogni errore che sia davvero la causa del fare un voto, rende il voto nullo e senza valore.
L'oggetto del voto deve poi essere qualcosa di umanamente possibile, poichè nessuno può essere obbligato a fare ciò che è impossibile. Perciò, nessun uomo può fare un voto per evitare ogni materia di peccato, anche la più leggera, perchè ciò è moralmente impossibile.
A CURA DI
"Fai
quello che puoi e chiedi quello che non puoi. Ed Egli farà in modo che tu possa"
Don Carmelo Rizzo
Responsabile protempore