LA SUPERBIA
L'origine di tutti i mali, perché è la causa di tutti i peccati.
E' la presunzione con cui si inganna se stessi di possedere pregi e cose che in realtà non si hanno. La considerazione personale è talmente alta da giungere al punto di stimarsi come principio e fine del proprio essere, disconoscendo così la propria natura di creatura di Dio e offendendo quindi il Creatore; di riflesso induce a disprezzare gli altri. Si può peccare di superbia anche quando si presume troppo nel potere della sapienza e della ragione umana (la scienza, la filosofia, ecc.), implicitamente limitando il valore e la necessità della sapienza divina (la rivelazione, la teologia).
S.Tommaso dice che: "La superbia è il vizio e il peccato con il quale l'uomo, contro la retta ragione, desidera andare oltre la misura delle sue condizioni". Il superbo, di fatto, crea una sproporzione tra sé e la realtà, con la conseguenza che la volontà, principio che guida l'agire, non è più capace di giudicare coerentemente. Ecco perché è contraria alla retta ragione: il superbo sopravvaluta se stesso senza confrontarsi con la realtà. La superbia diventa, di fatto, un andare contro la ragione.
Ne è ben consapevole Dante, che alla scuola di Tommaso, identifica esempi concreti di superbi nell'XI canto del Purgatorio. Non è privo di significato che il canto X sia un inno all'umiltà per far emergere il valore della virtù dinanzi al vizio. Alla stessa stregua, l'inizio del canto si apre con la preghiera del Padre nostro per far emergere il riconoscimento dell'uguaglianza dei figli di Dio dinanzi all'unico Padre. Come si sa, Virgilio indica al poeta i superbi come coloro che "La grave condizione di lor tormento a terra li rannicchia... si vede giugner le ginocchia al petto, così fatti vid' io color, quando puosi ben cura".
Il brutto mostro della superbia, oltre che sette figlie, ha anche quattro specie, che potrebbero essere allegoricamente paragonate ad una sorta di tentacoli con cui questa bestia ci tiene avvinghiati alle sue pestifere spire.
San Tommaso d'Aquino le descrive in questo modo:
- vantarsi di avere ciò che non si ha;
- credere che il bene posseduto derivi da se medesimi;
- credere che il bene posseduto derivi dall'Alto, ma sia dovuto ai propri meriti;
- cercare di far apparire del tutto singolari le doti che si hanno disprezzando gli altri.
Se siamo onesti con noi stessi, difficilmente possiamo negare di essere caduti in almeno qualcuno di questi brutti atteggiamenti. Quante volte i discorsi dei mortali si riducono ad uno squallido sciorinamento di improbabili "palmarès" infarciti di inesistenti meriti, titoli, posizioni di prestigio, esperienze, ricchezze, etc. Vantarsi di avere ciò che non si ha mette bene in luce la radice evanescente e inconsistente del vizio della superbia, la cui etimologia ebraica significa "vapore, fumo". Quanti figli dell'uomo trascorrono la vita terrena vendendo fumo, amara constatazione che la sapienza popolare ha cristallizzato nel popolare aforisma: "tutto fumo e niente arrosto!".
Poniamo invece il caso che una persona si vanti di beni, meriti e titoli realmente posseduti: ecco così comparire la seconda specie in cui si manifesta e morde la mala bestia della superbia. San Paolo, nelle sue lettere, tuonò con forza e vigore: "che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se lo hai ricevuto perché te ne vanti come se non lo avessi ricevuto?" (1Cor 4,7). Quale uomo può essere tanto stolto da non riconoscere che niente è suo di tutto quello che ha, che fa e che è? A partire dal dono della vita, che noi riceviamo senza nemmeno sapere consapevolmente quando e come (noi sappiamo la nostra data di nascita solo perché ce lo hanno detto i nostri genitori), proseguendo con la "permanenza nella vita" (riceviamo dall'atmosfera l'ossigeno per respirare e dal cuore il battito vitale per tenere in vita il nostro organismo) e terminando con un'infinità di altre cose (sono laureato? Ma i miei genitori mi hanno permesso di studiare! Sono intelligente? Ma questo non dipende dai miei meriti, è un dono che mi sono ritrovato e che posso solo far fruttificare. Ho un bel carattere? Ma quali meriti potrei vantare nei confronti di altri disgraziati fratelli che, senza colpa alcuna, si trovano a combattere con pessimi caratteri? Gli esempi, com'è evidente, potrebbero moltiplicarsi all'infinito...).
Veniamo alla terza ridicola variante di questo stupido vizio: d'accordo, il bene che io possiedo è un dono di Dio, ma lo ha fatto a me e non ad altri perché io sono più bravo e dunque lo merito... In altre parole: certo che i doni che ho vengono da Dio, ma a chi altri se non a me Dio dovrebbe elargirli, dato che sono così buono, così santo, etc.? Magari vado a Messa tutte le domeniche, prego regolarmente, faccio pure qualche digiuno, faccio opere di bene, vado a trovare gli ammalati, non dico parolacce... Quindi, come potrebbe Dio non beneficarmi?
L'ultimo atto estremo della fantasia di questo mostro consiste nel dar vita al quarto tentacolo. "Devo certamente ringraziare il Signore perché mi ha oltremodo beneficato, ponendomi in una condizione elitaria e privilegiata rispetto ai poveri comuni mortali che non hanno doni tanto belli e tanto grandi... Esattamente il contrario di ciò che hanno sempre fatto e insegnato gli uomini santi che nonostante possedessero doni straordinari si schernivano cercando di minimizzarli e ritenendosene del tutto immeritevoli, sapendo che Dio avrebbe chiesto conto dell'uso di essi, che devono essere amministrati non come strumento di mortificazione del prossimo, ma ponendoli al servizio del bene e della salvezza delle anime.
LA SUPERBIA DELLA VOLONTA' E DELL'INTELLETTO E LA SUA ATTENUANTE: L'UMILTA'
San Bernardo da Chiaravalle distingue due modalità distinte in cui si manifesta la superbia: vi è una superbia dell'intelletto e una superbia della volontà. La prima è tipica di chi si crede di essere qualcuno, "chissà chi o chissà cosa", mentre la seconda consiste nella conoscenza sapienziale di sé, data dalla serena e umile consapevolezza di essere nulla (perché tutto ciò che si è, si ha e si fa è stato ricevuto come dono di natura o di grazia), aggravata dalla coscienza - anch'essa scevra da ansie e turbamenti - delle proprie miserie e dei propri peccati. Il superbo non conosce e non vuole riconoscere le proprie colpe, non le ammette, le minimizza, in confessionale non le dice oppure si giustifica, scarica sugli altri le proprie responsabilità, cerca mille circostanze attenuanti. Distinta dalla prima è la superbia della volontà, per cui desidera apparire, comparire, distinguersi, primeggiare, emergere e, per questo, si mette in mostra, ostenta titoli, denaro, successi, riconoscimenti, onori, cariche, conoscenze... L'umiltà del cuore, per contro, consiste nella rinuncia ferma alla gloria del mondo, ovvero nel desiderare di essere non conosciuti e riconosciuti, non apprezzati, non stimati, non lodati, non onorati, per amore di Colui che pur essendo il Tutto venne disprezzato, disonorato, stimato pazzo e condannato alla più infame delle morti.
Ecco alcune spie che avvertono la presenza della bestia della superbia in un'anima.
Il più alto grado di essa è l'abitudine di peccare e che ha come motto quello di non voler servire Dio.
La "libertà di fare quello che si vuole" opposta alla doverosa soggezione ai voleri di Dio e alle giuste indicazioni delle legittime autorità.
Segue lo spirito di ribellione, ossia la riluttanza a sottomettersi pacificamente ai legittimi comandi altrui, che si oppone alla rara virtù dell'obbedienza.
Il superbo non accetta inoltre di affrontare le responsabilità e le conseguenze delle proprie colpe, riparandole dove possibile e offrendosi all'espiazione quando non fosse possibile porvi rimedio (quarto grado); a differenza dell'umile che affronta ogni fatica e ogni pena quando si tratta di fare il bene e perseguire la virtù.
Segue l'autogiustificare di se stessi puntando sempre il dito sugli altri, a differenza dell'umile che comincia ogni discorso con l'accusa di se stesso, che sa scusare il prossimo e riconoscere il bene, le virtù e i meriti altrui. Altro grado è la presunzione (che fa pensare di essere capaci di fare chissà quali grandi e strepitose cose) e l'arroganza, che spinge a disprezzare gli altri.
Il superbo, inoltre, cerca sempre di apparire del tutto singolare.
Un'altra caratteristica consiste nel parlare molto, anche quando non si è interrogati e nella facilità nell'interrompere le conversazioni altrui. Si verifica un facile abbandono alla stolta allegria e alla leggerezza d'animo (risa sguaiate, divertimenti sfrenati, conversazioni frivole, chiacchiere inutili, maldicenze), al contrario dell'umile che, pur sorridendo sempre e prendendosi i giusti e onesti divertimenti, sta lontano da ogni eccesso e sa controllare la lingua. Infine, il superbo è curioso, ovvero tende ad impicciarsi di cose che non lo riguardano ed è preso dal desiderio di sapere e conoscere anche ciò che non è utile o non conviene, al contrario dell'umile che sa essere discreto e mai invadente.
Gocce di Luce
"Dio che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te".
"Imparate da me che sono mite e umile di cuore" Mt 11,29
"L'umiltà è camminare nella verità" Santa Teresa d'Avila
Se riconosci le tue debolezze presentale al lavacro delle anime, alla Confessione, la Misericordia di Dio è immensa sulle miserie umane. Ne sarai liberato e troverai la completa guarigione.
A CURA DI
"Ascolta la voce dei tuoi sogni, se son vestiti d'amore è Cristo nel cuore!"
Giusy Aquilino
Direttrice