COME POSSO DONARMI?

- Cosa posso fare per donare al meglio la mia vita, scegliendo tra le tante opportunità che il mondo mi offre e tra tutti i desideri che mi passano nel cuore e nella mente? 

Se in maniera molto sintetica dovessimo scegliere una cosa che più ci avvicina a Dio quella sicuramente altro non è che l'amore, per cui il dono più grande da offrire a Dio e quello di imitarlo nell'amore che Lui ha avuto per l'umanità. Partendo da un versetto del vangelo di Giovanni cerchiamo di capire cosa significa fare della nostra vita un dono orientato all'amore verso Dio e il prossimo.

"Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici".

Con questo l'evangelista non intende affatto limitare l'orizzonte dell'amore ai propri amici, ma affermare che questo è semplicemente il comportamento di Gesù stesso: è la sera dell'ultima Cena; è lui che si appresta ad amare nel modo più totale e radicale che ci sia, cioè dando la sua vita. Per l'evangelista Giovanni, Gesù non muore (anche se in effetti è così), ma la morte è per lui l'occasione di donare la sua vita. Se allarghiamo l'orizzonte sugli gli scritti degli apostoli (vangeli e lettere) ne traiamo un prima conclusione: l'amore è l'unico assoluto, il valore supremo; tutto il resto è relativo: la fede, la speranza, la preghiera, la solidarietà... tutto al servizio dell'amore.

Paolo ai cristiani di Corinto scrive: "Se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi l'amore, non sarei nulla...E se anche dessi in cibo ai poveri tutti i miei beni ..., ma non avessi l'amore, a nulla mi servirebbe... Ora abbiamo queste tre cose: la fede, la speranza e l'amore. Ma la più grande di tutte è l'amore!" (1Cor 13). Ai cristiani di Roma scrive: "Chi ama l'altro ha adempiuto la Legge di Dio... Infatti, tutta la legge di Dio si riassume nell'amore" (Rom 13,8.10).

Giovanni, vecchio (e quindi saggio più d'ogni altro) lo ripete senza stancarsi nella sua prima lettera: "Quanti comandamenti abbiamo? - gli chiedevano i primi cristiani - I dieci di Mosè? Oppure i 638 precetti stabiliti dai rabbini?". Un solo comandamento abbiamo, risponde Giovanni: "chi ama Dio, ami anche suo fratello" (1Gv 4,21). Fino a che punto? In che misura? E Giovanni risponde: "In questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" (1Gv 3,16). Del resto, lo stesso Gesù l'aveva ribadito la sera dell'ultima cena: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati" (Gv 15,12). Insomma, l'amore che porta a donare la vita è l'unico assoluto per noi cristiani, il valore superiore a tutti, supremo appunto. Tanto assoluto e supremo che nel giorno del giudizio proprio con questo metro saremo misurati; il Signore dirà ai suoi interlocutori: "...ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi". E i suoi interlocutori gli chiederanno: "Ma... quando mai Signore?". Ed egli risponderà: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,35-39). Noi non sappiamo se le nostre preghiere arrivino fino a Dio, se i nostri pellegrinaggi ci avvicinino davvero a lui, ma una cosa la sappiamo: quando amiamo (non a parole ma a fatti, come dice san Giovanni) noi abbiamo la certezza di essere a contatto diretto con Gesù Cristo; in quel momento noi siamo cuore a cuore con Dio. Nessun'altra lunghezza d'onda ci sintonizza così intensamente con lui quanto l'amore, perché l'amore - alla sua sorgente - è Dio stesso (cfr. 1Gv 4,8). Valore supremo e unico assoluto, quindi. "Ma ha una misura l'amore?" chiedevano a san Bernardo. "Sì, rispondeva: la misura dell'amore consiste nell'amare... senza misura". E la fede a cosa serve? Se solo l'amore è assoluto, che senso ha la fede? La fede è al servizio di questo amore senza misura. Senza la fede, l'amore potrebbe avere orizzonti ristretti (gli amici, i propri cari, le persone che sanno contraccambiare... i poveri o i malati che sanno essere riconoscenti e dire grazie, per la soddisfazione di noi che li amiamo). La fede dilata l'amore fino a raggiungere l'orizzonte di Dio, ben aldilà dei confini che il nostro amore umano ha fissato: la fede dilata l'amore fino a comprendere i nemici, fino a perdonare chi ci offende; la fede ci permette di distinguere tra peccato (da condannare) e peccatore (da amare), ci illumina sul fatto che Dio per primo ci ha amati, e in modo disinteressato, e quindi ci dà il motivo, la spinta, per amare a nostra volta per primi (senza aspettare che siano gli altri ad amarci), e ci chiarisce perché possiamo amare senza aspettarci contraccambio... La Fede ci dà la certezza che tutto ciò che facciamo alla persona più miserabile che incontriamo è fatto a Gesù Cristo. Ecco perché la fede è al servizio dell'amore. 

Sì, ma di quale amore stiamo parlando? Il nostro vocabolario attuale è piuttosto povero. Contiene la parola amore, ma è una parola molto equivoca: può indicare le esperienze più alte e più nobili, come anche quelle più basse e più volgari; amore è quello che rapiva in estasi santa Teresa d'Avila, o quello che muoveva Madre Teresa di Calcutta, ma amore è chiamato anche il servizio reso dalle prostitute sui marciapiedi... A differenza del nostro vocabolario, quello dei greci (del quale si servirono gli apostoli) aveva più fantasia al riguardo; gli apostoli composero i loro scritti in lingua greca (quasi 2000 anni or sono) e i greci conoscevano tre parole diverse per dire l'amore. La prima è eros: è l'amore passionale e sensuale tra uomo e donna. Positivo, nobile, ma non è il termine adatto per dire l'amore cristiano. Altra parola era "filìa": indica l'amore dell'amicizia, l'affetto guidato dalla simpatia, dalla comunanza di interessi, dall'istinto. E' l'amore che lega tra loro le persone per affinità di carattere, per sintonia di visuali o di obiettivi... Non è sufficiente nemmeno questa parola per dire la specificità dell'amore cristiano. C'era anche una terza parola - che i greci però non adoperavano molto -: agàpe. Indica un amore attivo, operoso, che vuole il bene dell'altro; e lo vuole a prescindere dall'affinità del carattere o dalla corrispondenza che ne può derivare; chi è mosso dall'agàpe ama una persona per il solo motivo che quella persona ha bisogno di essere amata: ne ha bisogno per vivere; e la ama senza lasciarsi condizionare dal fatto che sia amabile o meno, capace o meno di corrispondere. La ama e basta, con totale gratuità. E' ovvio che questa poteva essere l'unica parola che andava bene per dire la tipicità dell'amore cristiano. Quando gli scritti degli apostoli furono tradotti dal greco al latino, la parola agàpe fu tradotta con caritas: carità. Ecco perchè - dopo 2000 anni - noi continuiamo ad usare la parola carità: l'amore cristiano è troppo specifico e singolare per essere reso con la sola parola amore. Certo, nel linguaggio d'oggi la parola carità è stata ridotta male: è intesa nel senso del fare qualcosa per gli altri - o addirittura nel significato banale di elemosina. No, ha bisogno di molte correzioni la parola carità. Se indica lo specifico dell'amore cristiano di agàpe non ci è consentito ridurla a qualche gesto d'altruismo... Non è che l'umanità non conoscesse l'amore prima che Gesù Cristo venisse in questo mondo, ma quello che conosceva era l'amore solo e semplicemente umano. Questo amore di agàpe - tipicamente divino - l'umanità non lo conosceva; ebbene, facendosi uomo, "carne" come noi, il Figlio di Dio ha abbassato questo amore alla nostra portata, al nostro livello. E' nella nostra carne, nella nostra esperienza umana, che è diventato possibile amare da Dio. Proprio nel senso che ogni cuore umano ora può arrivare ad amare da Dio, con l'amore stesso di Dio: l'amore di agàpe.

 Viene alla mente, a questo proposito, quel mandato da parte di Gesù che è riportato nel vangelo di Giovanni la sera dell'ultima cena: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati" (Gv 15,12). Ma è una traduzione non troppo esatta. Più che di un comandamento, si tratta di un "mandato", d'un incarico, d'una missione; quella dell'amore, per noi cristiani, è una missione. Comando, comandamento, fa pensare a un ordine che viene dall'alto e al quale bisogna obbedire (magari controvoglia). "Mandato" invece è un incarico dato da qualcuno che è al nostro stesso livello, un mandato che nobilita chi lo riceve. Insomma, noi cristiani, non abbiamo la legge dell'amore, ma la missione di amare con la carica stessa con cui Dio ama.

Chi sono i destinatari del nostro amore? Quali sono i fratelli per i quali, secondo l'evangelista Giovanni, anche noi dovremmo dare la vita? "Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici". Chi erano gli amici di Cristo? Gli apostoli, certamente. Ma amici di solito sono coloro che si incontrano spesso, che si incontrano volentieri, coloro con i quali si passa il tempo senza guardare l'orologio... I poveri erano e sono i veri amici di Cristo. Poveri è una parola che comprende molte e diverse situazioni umane, tutte accomunate da una necessità, da un limite, da un'attesa. Poveri sono quelli che non hanno il necessario per vivere con dignità, poveri sono i portatori di handicap, i malati non di raffreddore ma di patologie irreversibili, poveri sono i deboli e fragili nel corpo o nello spirito, poveri sono gli esclusi, gli emarginati per cause indipendenti dalla loro volontà o per scelte sbagliate che li hanno condotti in vicoli ciechi... Ecco gli amici di Cristo. Ecco coloro che egli ama al punto da donare per loro la sua vita. Su questo "donare" però vorrei fare una precisazione. Il vangelo di per sé non parla di "donare", ma di porre, mettere a disposizione... La frase allora dovrebbe suonare così: "Nessuno ha un amore più grande di colui che mette la sua vita a disposizione di coloro che ama". Insomma, la vita non la si dona solo con una morte cruenta (come capita ai martiri), la si dona anche a prescindere dal martirio, con una disponibilità che porta ad amare in tante situazioni diverse, giorno dopo giorno... Se in ognuna di queste situazioni si ama con quell'amore di agàpe, è come donare la vita goccia a goccia... Ecco com'è da capire questa frase del vangelo: "Nessuno ha un amore più grande di colui che mette la sua vita a disposizione di coloro che ama". Accostarsi ai malati con questo spirito, ad esempio, è come portarlo scritto in fronte: "La mia vita è a vostra disposizione". 

A CURA DI

"Fai quello che puoi e chiedi quello che non puoi. Ed Egli farà in modo che tu possa" 

Don Carmelo Rizzo

Responsabile protempore

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